di Alfredo Franchini
Scene di un matrimonio raccolte in un disco, “I confini del giorno” di Antonio Clemente, siciliano ma naturalizzato ligure, cantautore e pittore che pubblica il suo quarto lavoro in studio per l’etichetta La Stanza Nascosta Records. È un pittore, dicevamo, e forse per questo a ogni canzone attribuisce un colore restituendoci immagini di paesaggi, di natura, di cieli e di mare. Il CD sarà distribuito da giovedì prossimo col supporto fisico e sarà presente anche su tutte le maggiori piattaforme online. I confini del giorno è un album monotematico che racconta una storia d’amore dipanata lungo dieci anni di vita ma qui riepilogata nell’arco di una giornata particolare. Nelle canzoni non c’è l’amore sacro e nemmeno quello profano o tantomeno carnale ma nel trascorrere delle due notti in cui è stato limitato lo spazio temporale dei brani c’è l’uomo con i suoi dubbi e la sua inquietudine perché - come diceva Fabrizio De André - l’uomo potrà anche andare sulla luna ma, a patto di non essere diventato un cinghiale laureato in matematica, avrà sempre gli stessi problemi.
Nello stile di Antonio Clemente non c’è dentro la scuola genovese – che peraltro non è mai esistita – ma è ben presente il “codice Zena”, sì quello della canzone d’autore respirata da Via del Campo alla soffitta di Boccadasse dove c’era una volta una gatta. Canzone d’autore doc, dunque, e non è un caso che le quattordici canzoni sia state tutte suonate con strumenti musicali “veri”, autentici, riconoscibili. In un periodo storico in cui persino la chitarra è trascurata dai giovani che compongono musica con un semplice computer, possiamo ascoltare il suono puro della chitarra classica, quello grave del violoncello e finalmente una tromba, da troppo tempo scomparsa negli arrangiamenti, sopravvissuta solo nei pezzi fintamente caraibici. Nei Confini del giorno incontriamo una musica eterogenea che sfiora il valzer, la bossa nova, il folk irlandese e quello andaluso seguendo le linee del cromatismo poetico su cui hanno teorizzato in tanti. Non mancano le virate pop-rock grazie soprattutto alla chitarra elettrica e qualche coloritura jazzy. Un’introduzione con chitarra classica, pianoforte, violoncello e violino determina la chiave di lettura sui paesaggi che ci proporrà il prosieguo dell’ascolto con immagini dei cieli e abbracci di libertà. Ma è solo il prologo, poi è notte fonda con il buio fisico e quello metaforico. La notte intesa come cecità personale e del potere. Un incubo vissuto attraverso una fuga verso il sole – quasi un rimando evangelico – da dove si intravedono le torri del potere. È una sorta di ora del lupo, quel momento in cui la notte sta per passare e s’avanza l’alba; l’ora in cui statisticamente nascono più bambini e muoiono più persone. L’ora di estrema debolezza della persona, figuriamoci di un innamorato.
“Quando ho raccolto le canzoni da registrare”, rivela Antonio Clemente, “mi sono accorto che raccontavano tutta una storia unica, quella tra me e mia moglie. Ma in realtà potrebbe essere la storia di chiunque. Così a ognuna delle parti della storia corrisponde una canzone”. I quattordici quadri, infatti, non sono altro che una riflessione sugli eterni problemi dell’uomo. Dieci anni di vita proprio come nelle “Scene da un matrimonio” di Ingmar Bergman con cui troviamo alcune analogie: si va dall’innocenza del sentimento al panico della crisi quando il sole cala. Pur non arrivando all’arte di nascondere la spazzatura sotto il tappeto, come accadeva nel film bergmaniano, anche qui marito e moglie si rinfacciano il raffreddamento del loro rapporto. È con una bossa nova da cui l’album prende il titolo il titolo del CD che la coppia cerca di superare le difficoltà della vita insieme; il duetto di Clemente con Talitha Knight è accompagnato da un gruppo di ottimi musicisti: Manuel Perasso (chitarra classica), Fabrizio Zingaro (pianoforte), Michele Bensa (contrabbasso che in altri brani suonerà anche il basso elettrico), Marta Caccialanza (flauto traverso). Negli altri pezzi suoneranno Simone Cricenti (violoncello), Davide Bertoletti (batteria), Andrea Carozzo (fisarmonica), Alice Nappi (violino), Paolo Magnani (chitarra elettrica), Alessandro Ginevri (flauto traverso); Simone Dabusti (tromba), Aurélien Congrega (bouzouki irlandese). Clemente inventa anche un neologismo, “Nostalgioia”, perché il ricordo di certi eventi importanti suscita una sottile allegria mista al rimpianto. È una lucida follia che si verifica nella speranza che debba passare la nottata e si possa rivedere la luce. A questo punto, nel racconto, è passato un lustro, siamo alla metà del percorso, dopo il valzer che descrive il sentimento della disillusione per cui pure “il sole è imbarazzato”: tromba e pianoforte disegnano un dialogo interiore dove il cuore non fa più rima con amore ma con dolore. Dalla tavolozza canora, Clemente sceglie il sole che tramonta e le nuvole rade color della speranza. Il cielo si colora di rosso amaranto ed è questo il titolo di una canzone costruita sulla base del folk irlandese, ponendo una domanda sul senso psicologico dell’amore, spesso un equivoco per chi cerca nel partner la possibilità di vedere esaltata solo la propria immagine. E siamo alla fine. La nottata degli incubi è alle spalle e l’ultimo brano, dal sapore di flamenco vagamente arabeggiante è una summa del disco: c’è il ripensamento della storia decennale ma rivista, stavolta, con gli occhi della consapevolezza. In definitiva, chi sostiene che la canzone d’autore e che il CD a tema sono morti è smentito da dischi come questi, nati attorno a un progetto e sviluppati con ricercatezza.
Pubblicato su Extra Music Magazine, 15 settembre 2020