di Alfredo Franchini
Sole, mare, vento, i campi di fave, gli ulivi secolari, le cicale. E a interrompere questo idillio bucolico le ciminiere dell’Ilva che ammorbano il quartiere Tamburi di Taranto. Sono i racconti musicali che i Salento All Stars ci propongono con l’ultimo album, “L’era del cigno bianco”, prodotto da Gate 19 con il sostegno di Puglia Sounds. Il titolo è un evidente richiamo al disco di Franco Battiato ma fu concepito da Davide Apollonio durante il lockdown, quindi prima della scomparsa dell’autore della Cura. “Quando le sirene delle autombulanze finiranno di suonare e per le strade ci si potrà riabbracciare”, canta Apollonio, fondatore del gruppo, “l’era del cigno bianco ritornerà”. L’immagine è messa in contrapposizione alla pandemia, rappresentata dalla nascita del cigno nero, un evento raro ma possibile.
In questo nuovo lavoro, la band made in Salento che parte dalla tradizione musicale per arrivare a costruire un suono proprio, si apre a diverse collaborazioni: Erica Mou, Michele Riondino & Revolving Bridge, O’ Zulu dei 99 Posse, Papa Ricky, Cristiana Verardo, Magnitudo 12. Lo zoccolo duro della band è formato da Apollonio con Alfredo Quaranta, Peppe Levanto, Ylenia Giaffreda, Marco Giaffreda e Manuel Fontana.
Diciamo sùbito che la Puglia non è la California ma ha una produttività musicale davvero importante e più avanti cercheremo di capire qual è il fattore che agevola tanti artisti dai Negramaro a Caparezza, da Carolina Bubbico a Diodato: sarà determinante solo lu sule, lu mare, lu jentu?
Il disco si apre con una voce amplificata dal megafono per denunciare “la politica di un governo che preferisce bruciare denaro pubblico negli altiforni di un’azienda a pezzi invece di investirli su un territorio dalle mille potenzialità”. Qui non si passa: l’invocazione dei salentini che cantano su un tappeto di chitarre e fisarmonica, invocando il ritorno a un mondo del lavoro fatto di diritti, primo tra tutti quello della salute. Una denuncia contro l’Ilva e le multinazionali che stanno inquinando un angolo di paradiso che poteva essere la California d’Italia. Ma la Puglia è anche il mare, diventato ormai un enorme cimitero, riassunto nell’album dal pezzo intitolato “Centosettanta”: è il racconto di un gommone colato a picco nell’arco di poche ore. Sono 170 i morti, 170 chiodi che trapassano la nostra coscienza. Sia lieve l’acqua, cantano i Salento All Stars. Ma è anche la denuncia di un Paese come il nostro dove crescono il rancore e il risentimento. Un paese diventato più piccolo, più vecchio, con un eccesso di concentrazione di poteri economici e politici. La denuncia di Davide Apollonio e Peppe Levanto che hanno curato la produzione artistica, si trasforma in una preghiera laica affinché il mare possa far ritrovare un po’ di umanità. Nelle dieci tracce dell’album cambiano le atmosfere musicali con vari stili dietro alle canzoni. Non ci sono formule precise, si va dalle melodie più romantiche che toccano direttamente chi ascolta anche in maniera un po’ alchemica, al rock e al pop. Si fondono linguaggi diversi ma resta un connubio tra melodia e armonia e i suoni caldi, come in “Navigare a vista”, cui prende parte Cristiana Verardo, vincitrice del premio Bianca D’Aponte destinata alle cantautrici, con il pianoforte Rhodes che si sposa allo sciabordio delle onde. Due canzoni dell’album, “Rolling” e “Nice day” stridono con gli altri otto brani perché sono stati composti per la colonna sonora del film “Cobra non è” di Mario Russo, il regista salentino che ha diretto anche i videoclip di Elodie, Rovazzi, J-Az e Fedez. Rolling, cantata da Alfredo Quaranta, racconta dell’incapacità di adattarsi alla vita quotidiana e Nice day si basa su un monologo di Cesare Maniglio, un’ode semiseria per chi spera in una vita diversa. I Salento All Stars prendono di petto anche il tema dell’emigrazione e dell’intolleranza di chi ha dimenticato che una volta “gli albanesi eravamo noi” e lo fanno assieme a O’Zulù dei 99 Posse, un nome storico della scena indipendente in Italia. Tutto con sonorità elettriche incastonate in una scrittura in dialetto salentino. Un incontro tra due mondi che raccontano le matrici artistiche dei Salento All Stars e di O’Zulu, rivisitando l’inciso di “Comu t’a cumbenatu”, un successo di Papa Ricki del 1992.
Dicevano del fattore Puglia che genera artisti e che è diventato un modello per tutti coloro che pensano che con la cultura si possa persino mangiare, come testimoniano i principali istituti di ricerca economici. Il segreto sta nell’organizzazione: si chiama Puglia Sound e non ha fatto altro che sfruttare al meglio i Fondi europei del Fers. Puglia Sound lavora su tre obiettivi: 1) Export della musica locale per far conoscere i propri artisti fuori dalla regione di origine; 2) Live con spettacoli sul territorio; 3) Record che, come si può immaginare, riguarda sia la produzione discografica sia la messa in rete degli artisti. In principio, ed è forse il fattore che ha dato origine a Puglia Sound, fu la Notte della Taranta, affidata alla direzione artistica di fior di musicisti e diventata popolare grazie anche all’orchestra che ha coltivato la tradizione della pizzica e della tarantella portandola in giro per il mondo. La band di Apollonio è in realtà un collettivo musicale: solo qualche anno fa per il CD Made in Salento, un disco di inediti e di rivisitazioni in chiave reggae e combat folk, furono chiamati quaranta musicisti. Con l’Era del cigno bianco il gruppo si dirige su un terreno nuovo, sonorità che si staccano dalla tradizione accoppiate a testi crudi, fatti persino di slogan sindacali. La copertina dell’album è indicativa: un uomo di spalle corre su una pista in cui compaiono il numero tre e il quattro. Come dire, parafrasando Massimo Troisi, non ricominciamo da zero ma da quattro punti fermi: i diritti delle persone, il mare che unisce e non divide i popoli, l’amore per la bellezza, il potere della parola in musica.
Pubblicato su Extra Music Magazine, 26 maggio 2021