Scritto e ideato da Claudio Cabona
Diretto da Yuri Dellacasa e Paolo Fossati
Consulenza storica: Laura Monferdini
Musiche di Pivio e Aldo De Scalzi
Produzione: Gagarin Film con la collaborazione di Genova Liguria Film Commission
Distribuzione: Zenit Distribution
Durata: 72’
Di Alfredo Franchini
La canzone d’autore fu rivoluzionaria come oggi lo è il rap. Linguaggi diversi ma sentimenti identici: è la conclusione del docufilm “La nuova scuola genovese”, scritto e ideato da Claudio Cabona. Il film mette a confronto i pionieri della canzone d’autore coi giovani rapper mentre la terza protagonista è la città di Genova, la culla dei cantautori. On the road nei luoghi vissuti e cantati da De André, Tenco, Paoli, tra le case colorate di Boccadasse, la basilica dell’Annunziata, i palazzi visti dall’alto, la collina, il mare. È Genova ma il rapporto canzone-rap esaminato nel film può essere letto in tutta Italia alla stessa maniera. Chiedersi se Genova è la città dei cantautori – afferma Vittorio De Scalzi, storico musicista dei New Trolls – è come cercare di capire perché Liverpool abbia generato i Beatles o perché il rock and roll sia nato negli Stati Uniti. Gli amici al bar si chiamavano Tenco, De André, Bindi, Paoli, Giorgio Calabrese, i fratelli Reverberi, Lauzi; scrivevano in modo diverso rispetto ai canoni dell’epoca respirando nell’angiporto l’aria spessa, carica di sale, gonfia di odori. “Non cantavamo l’amore idealizzato ma le mignotte”, afferma Gino Paoli al rapper Tedua. Poi avrà inciso pure la vicinanza con la Francia e la presenza del porto dove i marinai portavano i primi dischi prodotti in America. “Genova è una città che dà stimoli forti”, spiega Max Manfredi per il quale è sbagliato mettere in contrapposizione cantautori e rapper: “L’unico conflitto”, dice, “può esserci con il pop italiano, almeno quello attuale”. I cantautori cantavano la realtà e c’è anche chi parla del neo realismo in musica: “Il centro storico è stato un vero e proprio set – ricorda Federico Sirianni – i personaggi che lo popolavano non li ho mai trovati in nessun’altra città”.
Cabona, che si è avvalso della consulenza storica di Laura Monferdini, mette a confronto i giovani Izi, Tedua, Bresh, Nader, Disme, Guesan, Vaz Tè, con Cristiano De André, Gino Paoli, Dori Ghezzi, Gianfranco Reverberi, Giampiero Alloisio, Ivano Fossati. Voci che si uniranno alla fine, sulle splendide musiche composte da Pivio e Aldo De Scalzi, per recitare “Litania”, la poesia con cui Giorgio Caproni disvela l’essenza e i colori della città: “Genova città intera/ geranio. Polveriera/ Genova di ferro e aria/ mia lavagna, arenaria”…
Nel faccia a faccia Cristiano De André con Bresh, Gino Paoli con Tedua, Dori Ghezzi con Izi si tocca con mano come i due mondi non siano poi così distanti. Tutti avvertono la responsabilità sociale di chi scrive musica e la necessità di comunicare le proprie emozioni. Cristiano e Bresh si raccontano a vicenda gli inizi, la voglia di suonare, la forza di superare le difficoltà e comunicare agli altri. Due mondi che si avvicinano e che c’è di meglio per due musicisti di suonare insieme? Sono nello storico negozio museo di Via del Campo dove è esposta la chitarra di Faber. Cristiano imbraccia l’Esteve e assieme a Bresh intonano Creuza de ma.
I rapper raccontano le periferie ma lo facevano anche i cantautori; la vita nei quartieri più bui è al centro delle loro storie. C’è chi da ragazzino abitava a Cogoleto e immaginava il centro di Genova come una piccola New York. Questo il racconto: “Il treno passava tra i palazzi della città, guardavo fuori dal finestrino, da una parte le abitazioni che davano sulla stazione e dall’altra il mare, celato dietro i colori accesi dei container. Cresci in fretta in certi quartieri perché devi evitare che ti mettano i piedi in testa ma diventi umile, comprendi e rispetti le persone che vivono ai margini”. La strada li unisce e sono diventati amici: Vaz Tè, Guesan, Tedua, Izi. Amici proprio come i cantautori genovesi: “Non c’era nessuna scuola”, ricorda Gianfranco Reverberi, figura centrale della musica italiana che ha lanciato Tenco, Jannacci, Paoli e Gaber, “il nostro divertimento era solo fare musica”.
La canzone d’autore è stata rivoluzionaria e ora questo ruolo tocca al rap, spiega Giampiero Alloisio. Le due forme musicali nascono come movimento anti borghese e tutte e due rappresentano il mutamento della società. “Se De André fosse vivo non sarebbe un rapper, continuerebbe a fare album sempre più evoluti e sarebbe primo in classifica”, dice Alloisio, “ma se De André avesse vent’anni forse sarebbe un rapper perché il linguaggio che ha adoperato era quello della sua generazione e oggi il modo di esprimersi è un altro”. Anche Dori Ghezzi, a colloquio con Izi, guarda con attenzione al fermento rap: “Avete linguaggi diversi ma il sentimento è lo stesso. Credo che Fabrizio sarebbe il primo a capirvi”. Come nasce un brano rap? Prima la musica o il testo? Dori Ghezzi afferma che le canzoni nascono quando meno te le aspetti, specchio dello stato d’animo di un momento. Izi sostiene che poche volte scrive prima il testo e accade solo quando il progetto prevede un particolare arrangiamento orchestrale. “Il rap mi ha aiutato ad abbattere ed esaltare il mio ego”, dice Tedua a Gino Paoli il quale ritiene che oggi personalmente sceglierebbe il rap ma a patto di farlo proprio, in modo originale. Quello che conta – dice Paoli dalla terrazza della sua splendida casa a Nervi– è la verità; non mi interessa l’intonazione di un cantante divido le persone tra vere e false. Ivano Fossati, cantautore e poeta, musicista che ha attraversato gli anni d’oro della discografia, non nasconde l’ammirazione per i rapper: “Sono cantautori e anche di più, hanno un coraggio particolare, pensieri altissimi collegati spesso a frasi di servizio. Frasi che potrebbero sembrare banali ma sono musica. C’è una libertà che loro si sono presi alla quale noi non abbiamo avuto il coraggio di accedere; per questo dobbiamo guardarli con attenzione”. Parlare di territori piccoli, del loro quartiere, delle loro strade e avere la capacità di vedere lontano è la caratteristica dei rapper ma da qui emerge il legame profondo con chi cantò addirittura una sola strada, Via del Campo, e un solo quartiere, la città vecchia, descrivendo il mondo dei dannati della terra, i disperati, i ladri, le puttane. Fossati perdona i rapper che navigano fuori dalla cultura musicale: “Credo che nel tempo possano creare una cultura diversa, è una delle loro forze, non hanno timori reverenziali”. Ma a Genova non tutto fila liscio, non ci sono solo balconi adornati con la pianta del basilico e i gerani. “È una città che ti comprime”, dice Alloisio, “c’è un atteggiamento borghese nei confronti degli artisti, se uno riesce a esprimersi qui poi avrà successo”.
Pubblicato su Extra Music Magazine, 10 maggio 2022