Accadeva all’Agnata mille anni fa in un angolo di paradiso in cui il tempo non era mai frazionato ma tutto intero, regolato dalla luce e da un gallo, caso unico, che cantava a mezzogiorno. Accadeva che il lunedì di Pasqua, messo il freddo alle spalle, si mangiasse all’aperto. E spesso erano lunghe tavolate con Fabrizio e Dori, con gli amici e i contadini che, incuranti del giorno festivo proprio perché il tempo non era frazionato, si fermavano a mangiare. Ricordo in particolare una Pasquetta che collochiamo nel tempo subito dopo quel festival di Sanremo in cui Mia Martini cantò “Almeno tu nell’universo”; la ricordo perché Fabrizio aveva apprezzato quella canzone e aveva stigmatizzato coloro che stavano contribuendo alla distruzione della cantante, compresa la sorella, attribuendole l’infamante patente di jettatrice. Ma ricordo anche che proprio quel giorno ripeteva una frase che aveva in testa e che poi l’avrei ritrovata di lì a poco in una canzone: “Ch’a luxe a l’han pé ‘n tera e l’atru in mà” … Erano giornate fantastiche con calma di vento e ne approfitto per ricordare una grande dote, spesso ignorata, di Fabrizio: la sua ironia e l’autoironia, esercitate senza soste e sfociate anche in grandi scherzi. E se è certo che avesse consapevolezza della sua grandezza, allo stesso tempo amava sminuire le cose fatte davanti ai suoi ammiratori. Pochi sanno che Fabrizio, in questo sottile gioco, amava in privato fare le versioni porno di certe sue canzoni. Certamente lo ricorda molto bene Cristiano che potrebbe cantarcele oggi… Esistevano versioni porno un po’ di tutto, dalla Guerra di Piero ad Amico fragile, Ma una volta addirittura ne fece in pubblico, come si suol dire a sfregio. Avvenne nel primo concerto in assoluto alla Bussola di Viareggio di fronte a un pubblico che non era il suo perché era accorso lì solo per vedere in faccia un cantautore che nessuno aveva mai visto prima alla Tv. Era quel pubblico, affetto dalla “borghesite” che peraltro lui prendeva in giro apertamente in Amico fragile, ricavandone in cambio gli applausi. Ed ecco allora che Marinella, storia di una prostituta uccisa e gettata nel fiume Tanaro, viene costretta all’atto che fa rima con bacino e, sotto la minaccia di un rasoio, sottoposta al biascico e all’ingoio. Scena cruda e crudele di una violenza che Fabrizio aveva cercato di addolcire quando la scrisse. Ma che non poteva non gettare in faccia ai signori benpensanti sempre pronti a giudicare gli altri. Che grande quel tempo, che solitudine, che bella compagnia. (A.F.)