Chi ha detto che non esistono isole sconosciute? Se lo chiede il sognatore di navi protagonista di questo monologo. Il racconto nel teatro-canzone si dipana su due piani: quello letterario e musicale perché il testo scritto da Alfredo Franchini, (e recitato da Marta Proietti), è inframmezzato dalle poesie e dalla grande canzone d’autore; e quello scientifico perché il testo va a costruire una sorta di breviario del Mediterraneo, una piccola guida sulle differenze culturali e sociali dei paesi compresi tra Gibilterra e il Bosforo. Il viaggio descritto non è solo quello che il protagonista compie alla ricerca dell'isola sconosciuta, (l'Utopia), ma è anche il confronto tra l'anima e la natura alla ricerca di una libertà incondizionata. Così le canzoni e le poesie che sono state scelte fanno parte integrante della narrazione e ci raccontano le storie dei traffici, delle migrazioni, la vita nei mercati, le idee, il modo di vivere.
Chi tene ‘o mare
S’accorge ‘e tutto chello che succede
Po’ sta luntana
E te fa sentì
Comme coce
Che tene ‘o mare ‘o ssaje
Porta ‘na croce[1]
A questo punto sono pronto a lanciare la sfida della mia vita per raggiungere l’oggetto del desiderio: la nave perfetta, il cargo ideale che mi porti all’Isola sconosciuta. So già quello che mi direte: non ci sono navi perfette e soprattutto non ci sono isole sconosciute. Ma io so che non è vero: sulle carte sono state trascritte solo le isole che si conoscono, ma datemi una possibilità, una barca, e vi dimostrerò che vi state sbagliando. Non è che senza una barca tutta mia, sinora, io non abbia navigato, ma l’ho fatto secondo la saggezza antica: il nostro mare arriva – diceva mio nonno – fin dove cresce l’ulivo. Ci sono posti dove la terraferma fatica ad adattarsi al mare. Il Mediterraneo è un mosaico, Gerusalemme, Atene, Roma, Alessandria, Venezia, la dialettica greca, l’arte, il diritto romano, popoli e razze che si sono mescolati, fusi, contrapposti per secoli. E la gente spesso si è chiesta come creare una Patria dove la terra è scarsa, se la sabbia invade i campi tra sole e mare. Bordesando per il Mediterraneo s’incontrano profumi e colori, ragazze precocemente maturate, vedove avvolte di nero, arance, un nodo di venti tra le foglie d’ulivo, il mirto, le palme, lo sfarzo e la miseria, la realtà e l’illusione.
Devo tornare sul mare, alla vita
di zingaro vagabondo; alla via
delle balene e degli uccelli marini,
dove il vento è una lama tagliente;
e io chiedo solo un’allegra canzone
da un compagno ridente e un buon sonno
e un bel sogno
quando la lunga giocata è finita.[2]
Quando ho navigato verso sponde ignote, la paura è stata la mia prima compagna. Non sapevo quale fosse la meta e neppure se ci fosse un approdo. La mia barca l’ho vista quando la stavano costruendo ed è incredibile come fosse simile alle navi greche e romane: il fasciame, la prua, l’incastro degli alberi sembra lo stesso di quelli trovati nei relitti in fondo al mare. Ho navigato contro il cattivo tempo ma è niente rispetto a quanti, dopo aver attraversato il deserto, s’imbarcano dalla Libia per raggiungere la loro isola sconosciuta, anche se ben nota sul mappamondo. Una traversata con un biglietto di ultima classe, al livello del mare.
E a bestemmiare ci siamo in tanti / che non li puoi più contare/ a bestemmiare ci siamo in tanti che non li puoi più pagare/ e sulla nave che prenderemo / che prenderemo per tornare / saremo nudi, saremo scalzi / saremo tutti da comprare / E a mezzanotte mamma guarda la luna / a mezzanotte mamma la guarderò / e quella molta, quella poca fortuna / a casa mamma, a casa la porterò.[3]
Non è vero che il Mediterraneo sia un mare tranquillo. Certo, attraversarlo d’estate è più facile quando l’acqua e il cielo sono azzurri ma ho incrociato anche allora navi da guerra in rotta verso la quarta sponda e non è un caso che il nostro mare sia diventato un enorme cimitero. Chi fugge da una guerra compra un giubbotto salvagente per ottanta euro, chi scappa dalla fame sale sul gommone senza giubbotto e sfida il tempo pregando il suo Dio.
Sior capitano aiutaci a attraversare
questo mare contro mano
Sior capitano, da destra o da sinistra non veniamo
e questa notte non abbiamo
Governo e parlamento non abbiamo e ragione
o sentimento non conosciamo
e quando capita ci arrangiamo
E ci arrangiamo
Con documenti di seconda mano[4]
Finché siamo in mare dimentichiamo tutte le differenze che ci sono dentro ai porti; alcuni sono solo degli approdi e altri sono il proscenio delle città. La loro vita dipende da come il mare gli entra dentro, così se l’Atlantico o il Pacifico sono i mari delle distanze, il Mediterraneo è quello della vicinanza. A difendere il porto c’è sempre un molo e se volete sapere quanti anni ha quell’estremo difensore dello scalo cittadino guardate lo stato delle sue bitte, quelle che alcuni chiamano colonne e che sono logorate dalle funi. È anche per questo che ci sono città che si possono vedere solo dal mare.
Chi guarda Genova sappia che Genova
Si vede solo dal mare
Quindi non stia lì ad aspettare
Di vedere qualcosa di meglio, qualcosa di più
Di quei gerani che la gioventù
Fa ancora crescere nelle strade[5]
Noi mediterranei ci distinguiamo per il modo in cui ci rapportiamo al mare: c’è chi costruisce case sulla riva e chi si distanzia dall’acqua per rimanere a contatto con la terra. Chi guarda il mare in faccia e chi gli volta le spalle. Ma io, come vi ho detto all’inizio, cerco l’isola sconosciuta. Avrò una barca che non dovrà essere grande ma navigherà bene e sicura. Certo avrò bisogno di un equipaggio e lo so non sarà facile formarlo: è strano a dirsi ma, anche se siamo tutti gente di mare, c’è chi non crede che possa esistere un’isola sconosciuta. Ed è strano che io, nato in campagna, non ignori il fatto che tutte le isole, anche quelle conosciute, sono sconosciute finché non vi si sbarca. Però i compagni di viaggio sono importanti, senza equipaggio che posso fare? Nell’attesa di formare la mia compagnia starò fermo in porto e mi offrirò di lavare le barche che entrano nel bacino. Ma è chiaro che solo quando troverò l’isola sconosciuta saprò finalmente chi sono: se non esci da te stesso, non puoi sapere chi sei; ogni uomo è un’isola. E se per vedere l’isola dobbiamo allontanarci da lei, per capirci siamo obbligati ad allontanarci da noi stessi. Ricordate però che i pescatori non litigano mai come fanno i lavoratori della terra, forse perché è più facile dividere il mare che la terra. È più difficile possederlo.
Uomo libero, amerai sempre il mare
Perché il mare è il tuo specchio
Tu contempli nell’infinito svolgersi dell’onda
L’anima tua, è un abisso il tuo spirito
Non meno amaro, godi nel tuffarti
In seno alla tua immagine; l’abbracci
Con gli occhi e con le braccia
E a volte il cuore si distrae
Dal tuo suono al suon di questo
Selvaggio ed indomabile lamento[6]
Alle isole vengono attribuite caratteristiche tipiche degli uomini: solitarie, silenziose, assetate, nude, deserte, sconosciute, incantate ma anche fortunate o no. Luoghi di raccoglimento, di quiete, di espiazione, di esilio, di punizione. In qualche piccola isola, di fronte alle città delle coste, la gente è meno spensierata perché per loro i servizi essenziali, uffici ed ospedali, sono sull’altra sponda. La lingua è diversa da quella della costa più vicina. Se poi vai verso l’interno cambiano le relazioni della gente con il mare.
Le ragazze di Firenze vanno al mare
Le ragazze di Firenze vanno all’amore
Le ragazze di Milano han passo di pianura
Che è bello da vedere
Che è bello da incontrare
In questi posti davanti al mare
Quando il vento riscalda a suo tempo il mare[7]
Non è sempre vero che le popolazioni avessero più paura di chi arriva dal mare e vi dirò di quello che accadeva in Sardegna. A Tharros, dove i fenici possedevano una grande base, sono stati scoperti un tofet, cioè il santuario dove si svolgevano i sacrifici dei bambini, e le mura grandiose che proteggevano la città non dalla parte del mare ma da quella della terra. Una serie di fortezze nell’entroterra perché i fenici volevano controllare l’interno della Sardegna.
Se non riuscirò ad avere un equipaggio che mi consentirebbe di prendere il mare, è probabile che abbia una compagna di viaggio. Sarà una donna che mi accompagnerà per un breve tratto di vita perché sono certo che lei vorrà solo evitare l’ira dei gabbiani ed esercitare a modo suo l’arte della marineria magari mettendo mano agli orli sfilacciati delle vele che però non sono tende da curare con mano femminile ma sono i muscoli delle barche. Non sono ancora in mare aperto ma immagino che avrò due soli maestri da seguire: la barca e il mare. Poi, certo, dovrò fare i conti con il cielo e le stagioni.
Non navighiamo sullo stesso mare
Eppure così sembra
Grossi tronchi e ferro in coperta
Sabbia e cemento nella stiva
Io resto nel profondo e avanza con lentezza
A fatica nella tempesta[8]
Già, la burrasca che si accompagna al vento che “soffia dove vuole, ne senti la voce, ma non sai da dove viene e dove va”.[9] Di fronte alla natura ostile, il vento è quel soffio che tutto trascina con sé diventando creazione e distruzione insieme. Ma la tempesta ricorda i naufragi, quelli storici perché ci sono più navi in fondo al mare di quante non ce ne siano sopra, e pure quelli personali.
Sono state giornate furibonde
Senza atti d’amore
Senza calma di vento
Solo passaggi e passaggi
Passaggi di tempo[10]
Lacrime come pioggia, musica contro vento.
Camminavo sulla sabbia
Bassa marea
E giù oltre la curva
Scrissi un verso sulla sabbia
E in quel verso scrissi
Quel che la mia mente pensava
E ciò che la mia anima desiderava
E quando la marea fu alta
Ritornai ancora, su quel lido
E di ciò che avevo scritto nulla trovai.
Trovai solo i segni del bastone
Di uno che aveva li camminato da cieco[11]
Penso all’isola da conquistare ma stasera la potenza dell’alcol a cui un capitano sia pure così giovane non può rinunciare, mi restituisce la sensazione di quelle estati al mare, quando il caldo è umido e nelle campagne c’è uno strato di detriti sui pozzi, l’acqua è torbida e le cisterne sono piene di terra. Le siepi scompaiono, strappate dal maestrale.
Se solamente mi toccassi il cuore
Se solamente mettessi la tua bocca sul mio cuore
La tua bocca sottile, i tuoi denti
Se mettessi la tua lingua come una freccia rossa
Lì dove il mio cuore polveroso martella,
se soffiassi nel mio cuore, vicino al mare, piangendo
suonerebbe con rumore scuro, con suono di ruote
di treno assonnate
come acque vacillanti
come l’autunno in foglie
come sangue[12]
Sulla spiaggia i sorrisi diventano come la luna quando è mezzo palmo sopra il mare. E lì ti ho amata:
Toglimi il pane, se vuoi,
toglimi l’aria, ma non togliermi il tuo sorriso.
Vicino al mare, d’autunno
Il tuo riso deve innalzare
La sua cascata di spuma
E in primavera, amore
Voglio il tuo riso come
Il fiore che attendevo.[13]
Il mare che ti culla, il sole col suo ardore fanno crescere la passione. Le sacre scritture ammonivano gli uomini per la lussuria e la dissolutezza ma non sono riuscite mai a distogliere i marinai dal sogno di una donna con la quale accompagnarsi non appena sbarcati in un porto:
“Cae mugge, passou u munte de Portufin turnu francu e fantin”, che in genovese vuol dire: cara moglie, passato il monte di Portofino ritorno libero e scapolo.[14] Ma certe volte, quando sono giù d’umore, mi faccio trasportare in piena solitudine, andando di bolina così come capita al nuotatore stanco di fare il morto. Non è proprio la stessa cosa: qui si tratta di sfruttare il vento che è contrario alla rotta e mettergli le vele contro, calcolando la giusta angolazione per acquistare velocità. Così divento il domatore di quell’aria perché per andare di bolina devo disporre le vele per prendere le raffiche di sbieco, sfruttare la potenza di Eolo come non seppero fare nemmeno gli antichi se è vero che gli arabi usavano una bussola virtuale ad acqua e a canna, un recipiente dove galleggiava un ago magnetico la cui punta mostrava il nord ma questo poteva funzionare solo se c’era il mare calmo. Difficile calcolare così l’angolo della vela e risalire il vento.
Trovale da te
Le tue drizze, le tue scotte
Quelle che in barca
Non si chiamano mai corde.
Impara da te o con qualche consiglio amico
Come si imbriglia un velame antico
E sappi che puoi dare un colpo deciso
A quella barra che arriva al timone
E volger così la tua prua
In direzione di quel vento
Che ti nega un sorriso.
E per ogni vento che ti sputerà addosso
Per ogni tempo che ti prenderà a schiaffi
Prima di incontrare
L’angolo morto
Prima di avere
Il fiato troppo corto
Sappi che si può risalire il vento
Coniugando nozione e ardimento
Sappi che si può giocare il vento
Andando di bolina[15]
Non c’è un solo colore del mare, ce ne sono tanti. L’acqua marina è grigia sotto le nuvole, di notte è nera ma all’alba e al tramonto il mare può essere dorato o addirittura rosso. Omero diceva che il mare di notte avesse il colore denso delle isole. Già, le isole quelle fortunate e quelle aride dove l’acqua potabile è un problema. Nuove acque arrivano al nostro mare da sorgenti e fiumi, piogge e inondazioni. Ma non sempre l’acqua arriva nelle case. Navigando non si incontrano solo porti accoglienti, taverne e belle donne. Si incontra anche la guerra e la morte. Se il Mediterraneo è diventato un grande cimitero, nelle città i camposanti somigliano alle isole: tutti diversi. In alcune parti del mondo c’è una forte inclinazione delle tombe verso il mare, in altri è stata scelto di costruire il cimitero all’interno. Personalmente non sono interessato a quello che accadrà dopo la mia morte, ma mi piacerebbe essere sepolto a San Juan di Portorico: il cimitero declina sul mare e spesso le onde arrivano sulle tombe.
Ciao bambino mio, l’eredità
È nascosta
In questa città
Che brucia, che brucia
Nella sera che scende
E in questa grande luce di fuoco
Per la tua piccola morte[16]
Ormai queste immagini le vediamo tutti i giorni. Soldati che mettono a ferro e a fuoco una città e quel bambino morto, massacrato dai cingoli di un carro armato, e ora in braccio al padre, è l’immagine della fine di una civiltà.
Il mare è fatica e le bestemmie che ne conseguono sono diverse a seconda delle zone mediterranee. I turchi e i greci sono abituati a usare il verbo copulativo dell’atto sessuale contro divinità e santi; da altre parti, come in Italia e in Spagna, non si usa quel verbo ausiliario ma le divinità vengono messe in relazione ad animali, in genere quadrupedi come cani e porci. Insomma, il cielo mediterraneo è davvero vario.
Per arrivare all’isola sconosciuta, farò tappa in molte città e mi fermerò nei mercati; lì si può capire molto di come funzionano le cose del mondo. Nell’antico Egitto le donne andavano al mercato in compagnia del marito. Gli ateniesi credevano che al mercato fosse meglio ci andassero solo i maschi anche perché in quei luoghi c’erano molte prostitute. A Roma avevano libero accesso solo le schiave, prima della decadenza dell’Impero. Nei paesi islamici era obbligatorio il velo. Ovunque si vendevano gli aromi, la mirra, il ladano e il profumo ti restava addosso. Il bazar nacque in Persia e poi fu diffuso dagli arabi e dagli spagnoli. Fatto sta che spesso la via del mercato è la stessa della fede e quando le strade si separano iniziano gli scontri. Commercio, leggi e religione andavano di pari passo: chi faceva le leggi dettava norme spesso salutari e la religione ne richiedeva il rispetto.
E digli a chi mi chiama rinnegato
Che a tutte le ricchezze all’argento e all’oro
Sinàn ha concesso di luccicare al sole
Bestemmiando Maometto al posto del Signore[17]
Questo era Sinàn, uno dei personaggi della Repubblica marinara descritta da Fabrizio De André. Era genovese, Sinàn, ma avrebbe potuto essere veneziano, pisano o catalano. Era un marinaio, catturato dai turchi durante una battaglia alle isole gerbe. Si sa come venivano trattati i prigionieri, soprattutto quando professavano una religione diversa e allora lui si è convertito. E non gli è bastato avere salva la vita ma da arrampicatore sociale qual era è diventato visir e serraschiere del sultano di Costantinopoli. Con la mia nave perfetta a me non servirà consultare i manuali degli arrampicatori sociali. L’isola sconosciuta mi darà la libertà.
“Il cuore di un anarchico sanguina sempre, il mio perché sono consapevole che Anarchia è solo pura Utopia e perché il mondo che osservo coi miei occhi non mi piace e lo vorrei diverso. Vorrei che nessuno fosse padrone e che nessuno fosse più servo, vorrei che l’uomo riuscisse ad autogestirsi e a collaborare con gli altri della sua specie, vorrei non avere più nessun uomo politico che gestisca il mio futuro e quello di migliaia di persone, vorrei che nessuno sia più mercenario di guerra al servizio del potere, vorrei che l’uomo non avesse più inibizioni come una legge imposta dall’alto e che l’unica legge fosse la nostra morale, vorrei che la gente smettesse di credere in valori sbagliati come il consumismo, vorrei che l’uomo fosse finalmente libero e vorrei tante altre cose ma mi ci vorrebbero almeno tre giorni per elencare tutto ciò che voglio”.[18]
La vita non sempre fa male,
può stracciarti le vele, rubarti il timone,
ammazzarti i compagni a uno a uno,
giocare ai quattro venti con la tua zattera,
salarti, seccarti il cuore
come la magra galletta che ti rimane
per regalarti nell’ora
dell’ultimo naufragio
sulle tue vergogne di vecchio
i grandi occhi, il radioso
innamorato stupore
di Nausicaa.[19]
Mi chiedo che cosa potrà succedere se non riuscirò ad avere la nave perfetta. Sento che la cercherò ancora e vorrò comprarla perché è qualcosa che devo a me stesso. Ma se questo non accadesse e la nave non apparisse mai, sarebbe lo stesso. Ormai ho imparato e mi sono adeguato a far derivare dai sogni che non si avverano mai, solide ragioni per continuare a vivere. In realtà, forse avete ragione voi: l’isola sconosciuta c’è, però è irraggiungibile. Ma la ragione del viaggio è il viaggiare.[20]
Sempre devi avere in mente Itaca −
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.[21]
Io sono nato tra gli scogli al contrario di quella folla di Nordici che da qualche decennio ha invaso le nostre coste. Li chiamano turisti: invadono le autostrade e con charter e navi si inchiodano sulle spiagge a milioni. Altri vagano da una spiaggia all’altra, da un caffè ai ristoranti sulla sabbia. Una volta erano vacanze per pochi ricchi, oggi si muovono nel Mediterraneo sessanta milioni di persone, cioè l’equivalente dell’intera popolazione del bacino da Gibilterra al Bosforo nel 1600. Un’invasione pacifica al suono delle canzoni destinate a suonare per una sola estate.
Sto pensando intensamente a una canzone per l’estate
Maledettamente stupida da farsi canticchiare
L’ombrellone te lo ficco nel culo
E il gelato te lo spiaccico in faccia
Questa sabbia te la tiro negli occhi
E poi ti prendo a calci lungo la spiaggia
Con la sdraio ti ci spezzo la schiena
E ci piscio sulla tua abbronzatura
Ora ingurgita la crema solare
Prima che ti affoghi in questo schifo di mare[22]
No, meglio di no, ma è un sarcasmo giustificato dall’idea del mare da cartolina di chi non è nato su uno scoglio. Io ho sempre aperta una finestra da dove guardo il mare. Controsole ogni tanto la vedo, è lei che ora s'avanza verso di me:
Appare a volte avvolta di foschia, magica e bella,
ma se il pilota avanza, su mari misteriosi è già volata via,
tingendosi d'azzurro, color di lontananza[23].
[1] Chi tene ‘o mare, Pino Daniele
[2] Febbre del mare, John Mansfield
[3] Natale occidentale, Cristiano De André
[4] Natale di seconda mano, Francesco De Gregori
[5] Chi guarda Genova, Ivano Fossati
[6] L’uomo e il mare, Charles Baudelaire
[7] Questi posti davanti al mare, Ivano Fossati
[8] Non navighiamo sullo stesso mare, Olav H.Hauge
[9] Il soffio della vita, Genesi VI
[10] Anime salve, Fabrizio De André
[11] Camminavo sulla sabbia, Kahl Gibran
[12] Barcarola, Pablo Neruda
[13] Il tuo sorriso, Pablo Neruda
[14] Proverbio genovese citato da Fabrizio De André in Uomini e donne di De André
[15] Di bolina, Cristiano De André
[16] Sidun, Fabrizio De André
[17] Sinàn Capudàn Pascià, Fabrizio De André
[19] L’amaro miele, Gesualdo Bufalino, Einaudi
[20] Riferimenti ad Alvaro Mutis in Abdul Bashur sognatore di navi e Fabrizio De André in Khorakanè.
[21] Itaca, Costantino Kavafis
[22] Ombrelloni, Simone Cristicchi
[23] Francesco Guccini, L’isola non trovata